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10 assiomi per gestire i rischi sul lavoro nel 21-esimo secolo

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Quali sono i principi per la gestione del rischio sul lavoro all’inizio del terzo millennio?

Alan Quilley evidenzia 10 concetti per capirne l’importanza in relazione all’epoca in cui viviamo.

1) Il “buon senso” o “senso comune” non è mai esistito: meglio parlare di “comune conoscenza”.

“Senza la comunicazione è impossibile venire a conoscenza di qualcosa che un altro essere umano conosce o di cui ha fatto esperienza”
“Il buon senso è un mito, creato da coloro che non ricordano dove e da chi abbiano imparato ciò che sanno”
“La formazione sulla sicurezza deve basarsi sulla conoscenza, non su convinzioni circa quello che dipendenti dovrebbero conoscere”
“Spesso la tendenza ad assumersi dei rischi supera la conoscenza personale sulla sicurezza: tramite la
condivisione dobbiamo aiutarci reciprocamente, affinché ciò non accada”

2) Non possiamo impedire ogni incidente, ma possiamo accrescere l’affidabilità delle misure preventive.

“Quando una forza esterna ci colpisce (meccanica, chimica, elettrica, termica…) può farci inevitabilmente del male. Teniamo presente che vi è una gerarchia (in ordine decrescente di efficacia) nelle misure di controllo del pericolo: eliminazione della fonte di rischio, sostituzione o adozione di tecnologia alternativa, aspetti organizzativi e, in ultima istanza, adozione di DPI.

3) L’obiettivo “Zero incidenti” è illogico e frustrante, mentre eccellere nella sicurezza è realizzabile e stimolante.

“Tutti gli incidenti possono essere evitati…….con il senno di poi! Non abbiamo la capacità di prevedere il futuro”

4) Gli incidenti si verificano quando compiamo azioni NON sicure abbinate ad un contesto NON sicuro.

“L’utilizzo di strumenti non adeguati per svolgere il proprio lavoro può portare ad un pericolo maggiore se
non ne abbiamo la dimestichezza d’uso.”

5) L’efficacia della sicurezza risiede nella collaborazione di tutte le parti interessate per raggiungerla.

“Ogni processo di lavoro dovrebbe educare le persone mutare i propri comportamenti a rischio. Bisogna far
capire che le regole sulla sicurezza esistono non per l’azienda, non per la società, ma per le persone reali sul posto di lavoro…..e per tutti coloro che a casa aspettano il loro ritorno.”

6) Il concetto di “Sicurezza” va sostituito con “Produzione in sicurezza”.

“Evitiamo di mettere in competizione la Sicurezza con la Produzione!”

7) La sicurezza può essere misurata e gestita: le analisi degli incidenti/infortuni sono misure inaffidabili di sicurezza.

“Per misurare l’esistenza di uno “stato di sicurezza” non è logico adottare un indicatore che è frutto di eventi aleatori: lo stato di sicurezza è dato da quello che facciamo, non da quello che accade o non accade.”

8) Abbiamo bisogno di “azioni concrete” per la creazione di uno “stato di sicurezza”: il solo impegno non è sufficiente.

“Qualunque sia il nostro slogan, non significa molto, se non fanno seguito i comportamenti e le azioni.”
“Per essere presi sul serio, come fanno i veri leader, le parole e le azioni devono corrispondere.”

9) I lavoratori sono i migliori supervisori per la sicurezza: diamo loro la possibilità di guidarla.

“Nel corso delle sessioni di formazione o delle riunioni chiediamo ai lavoratori “cosa potrebbe succedere qui?”: questo permetterà loro di raccontare ciò che è eventualmente già accaduto, o ciò che potrebbe accadere.”

10) Fare sicurezza non vuol dire puntare il dito contro chi non segue le regole.

L’obiettivo ultimo è quello di stabilire il modo più sicuro ed efficace per svolgere un lavoro: talvolta anche il lavoratore che non segue le regole può essere una preziosa fonte di informazioni per arrivare a questo obiettivo.

 

 

A presto!

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